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Storie di vita del mio paese

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La vita in alta Valtellina negli anni ’40

In ogni paese esiste una persona che raffigura la memoria storica e le origini dello stesso.
A Semogo dove abito io, un ardito signore del 1930 di nome Gino, ama raccontare il suo passato sul bollettino parrocchiale.
Da qui traggo spunto facendovi partecipe delle sue memorie.
Racconta infatti che all’inizio degli anni ’30 il paese con pochi abitanti e poche case, la maggior parte costruite con materiali poveri quali sassi e legno, contraddistinguevano le contrade in piccoli agglomerati formati da tre a quattro abitazioni.
I locali più importanti delle case erano rappresentati dalla STUA con la PIGNA e dalla stalla dove si conservava la maggior ricchezza delle famiglie.
Ma vediamo di che cosa si tratta.
Nella Stua, locale interamente in legno ed arredato con tavolo, letto e poco altro, si svolgevano i compiti, si chiacchierava e si svolgevano le principali attività che caratterizzavano la giornata. Le donne lavoravano a maglia, filavano la lana oppure si applicavano nel cucito. Mentre la sera riuniti tutti prima di andare a letto in ginocchio si recitava il Santo Rosario.

La pigna era l’elemento più imponente all’interno della Stua che serviva per il riscaldamento dell’ambiente. Struttura in muratura, funzionante a legna ed ancora oggi è presente nelle abitazioni più antiche e nei recuperi di questi ruderi. In forme moderne il principio è ancora utilizzato in tutte le case di montagna.

Si viveva di agricoltura; tutte le famiglie possedevano animali quali mucche, pecore, maiali e capre. Difficilmente c’erano famiglie che non possedevano la stalla o le bestie.
Si viveva della rendita della campagna, dell’agricoltura e quindi dei derivati della stalla.
Le pensioni erogate gli anziani erano davvero poche e misere.
I campi del paesello erano seminati a patate un anno e l’anno successivo alla segale. Una volta terminata la fienagione nel paese si saliva sugli alpeggi e la vita continuava in quota.
L’autunno vedeva il rientro al paese, ma sulle baite si restava finché si poteva per far mangiare fieno alle mucche e preparare i prati per la primavera successiva, tornando in base al clima e alle nevicate.
La salita della primavera ai pascoli, vedeva gli abitanti del paese con le bestie utilizzando un carro trainato sul quale era depositato la “mudaria” che consisteva in un sacco di farina gialla, la farina bianca, più di un sacco di patate, uno di pane di segale, una cassetta di legno che conteneva il maialino, la cesta delle galline, il sacchetto contenente il gatto e vestiti più vecchi e malandati.
La partenza avveniva la domenica pomeriggio dopo la funzione dei vespri.
L’autunno si tornava al paesello solitamente tra il venerdì e sabato sul carro o sulla slitta, si trasportavano il maiale cresciuto, le bestie piccole che erano nel frattempo nate e le cibarie prodotte cioè i formaggi per continuare la stagionatura.
Il principale passatempo dei ragazzini al pascolo era quello di giocare, scherzare, cantare, sempre sorvegliando attentamente il bestiame.
Con abiti dismessi dei fratelli maggiori si intrattenevano con il gioco delle biglie non di vetro ma di terracotta poiché le prime erano veramente costose.

Questi alcuni accenni ad un mondo che lascia rudi segni di povertà ma di legami indissolubili ancora oggi..il proseguo nel prossimo articolo!

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