Ricordi d’infanzia nella mia Alta Valtellina
Avevo circa sei anni quando mi venne regalato il primo paio di sci.
Erano di plastica con una strana sagomatura sotto che mi permetteva di non acquistare velocità e di percorrere le piste in salita contrariamente a tutti gli altri che invece percorrevano i campi a “scaletta” dato che a sciare si andava nei prati fuori la porta di casa.
A otto anni l’esperienza entusiasmante sugli impianti di risalita dello zio, in località Arnoga, vero fulcro delle attività invernali per la gente del mio paese.
Era l’unico impianto di risalita nelle vicinanze, Bormio e Livigno erano a quei tempi ancora sconosciuti o proibitivi per le famiglie e lo spostarsi non era così facile. Era uno skilift a servizio dei clienti che in hotel soggiornavano, e degli abitanti del paese. Stiamo parlando gli anni ’80, quindi una vera sciccheria per i tempi di allora.
Aveva un impianto con il piattello che percorreva un dislivello di circa 300 m ed arrivava in località San Martino e una manovia arrivata anni dopo per la pista “baby”.
Essendo io molto bassa di statura e leggera, (mio papà diceva infatti che avrei dovuto mettere qualche sasso nelle tasche), facevo la risalita accompagnata da quelli più grandi ma in modo molto particolare: i miei sci erano infatti incastrati con chi era agganciato al piattello, trovandomi così in mezzo alle gambe di quelli più grandi appoggiata alle loro ginocchia..più difficile da spiegare che non da farsi.
La persona che sicuramente mi ha trasportato più volte in cima è stata mia cugina, di cinque anni più grande ma essendo figlia del titolare dell’impianto era assai più esperta.
Le piste da sci erano solamente due, una scendeva dei prati, abbastanza insidiosa e l’altra invece era una deviazione, nonché la strada che portava alle baite su quei pascoli.
Allora non c’erano grandi problemi di fuoripista, i più arditi si lanciavano dal pendio anche perché era privo di insidie.
I più spericolati invece si addentravano anche nella fitta boscaglia giocando tra le varie gobbe che il terreno provocava, inciampando tra le fronde degli alberi con le radici che erano esposte, saltando sui cumuli che il vento formava con la neve caduta dalle fronde..
Il mio papà faceva lo “skilifista”, ovvero l’addetto all’impianto.
Con ansia si aspettava la vacanza di Natale, certi di poter andare a sciare comodamente sull’impianto almeno per 10 giorni consecutivi, dato l’impiego della figura del mio papà c’era trasporto sicuro ed apertura dell’impianto certa.
Nei giorni feriali quando invece la scuola impediva di divertirsi come si voleva, andavo nei prati fuori casa. Allora non era importante la tecnica ma solamente il divertimento: non c’erano abiti di Gore-Tex, tecnici o altro, ma tanti vestiti che avevano visto stagioni addosso ai fratelli o ai cugini più grandi.
Certo è che rivedendo i terreni vicino a casa fioriti ora di abitazioni moderne con tutti i comfort che la società di oggi ci permette, un filo di nostalgia rispetto quelle giornate spensierate prende…
Giornate di leggerezza, di divertimento “povero” ma ricco di significato, dove si era tutti uguali, e con la stessa voglia di mettersi in gioco..
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